Ordinanza n. 14 del 2024

ORDINANZA N. 14

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Augusto Antonio BARBERA

Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Catania, sezione prima penale, nel procedimento penale a carico di A. N., con ordinanza del 4 agosto 2017, iscritta al n. 132 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numero 41, prima serie speciale, dell’anno 2023, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 23 gennaio 2024.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024 il Giudice relatore Francesco Viganò;

deliberato nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024.


Ritenuto che, con ordinanza del 4 agosto 2017, pervenuta a questa Corte solamente il 13 settembre 2023, il Tribunale ordinario di Catania, prima sezione penale, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che la sospensione dell’esecuzione della pena non può essere disposta nei confronti dei condannati per il delitto di furto in abitazione di cui all’art. 624-bis del codice penale;

che il rimettente espone di essere chiamato a pronunciarsi nell’ambito di un incidente di esecuzione promosso da A. N. per ottenere la sospensione dell’ordine di esecuzione emesso nei propri confronti il 12 maggio 2017, relativo a una sentenza di condanna, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di due anni di reclusione e trecento euro di multa per il delitto di furto in abitazione di cui all’art. 624-bis cod. pen., divenuta irrevocabile il 3 aprile 2017;

che tale istanza dovrebbe essere rigettata, ai sensi della disposizione censurata;

che, tuttavia, il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale di tale disposizione, sospettandone il contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., nonché con il principio della finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.;

che, secondo il giudice rimettente, il divieto di sospendere l’ordine di esecuzione nei confronti dei condannati per il delitto di furto in abitazione, previsto dal primo comma dell’art. 624-bis cod. pen., produrrebbe una non giustificabile disparità di trattamento sanzionatorio – risultante dalle diverse modalità esecutive della pena – rispetto al più grave delitto di rapina, in relazione al quale tale sospensione è invece consentita;

che, infatti, si riserverebbe in questo modo al primo delitto, caratterizzato da «un’aggressione puramente patrimoniale», un trattamento di più intenso rigore afflittivo del secondo, nel quale vi è altresì una «aggressione consumata al bene incolumità individuale»;

che, d’altra parte, il divieto di sospendere l’esecuzione della pena detentiva breve, applicato in modo indiscriminato ai condannati per furto in abitazione, imponendone l’ingresso in carcere senza alcuna considerazione per le specifiche esigenze del singolo condannato, introdurrebbe, secondo il giudice a quo, un automatismo incompatibile con la necessità di valutazioni flessibili e individualizzate, dirette a perseguire, con il recupero del colpevole, la finalità rieducativa della pena, così ponendosi in contrasto con l’art. 27, terzo comma, Cost.;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che le questioni sollevate siano dichiarate manifestamente infondate;

che, infatti, ad avviso dell’interveniente, la scelta operata dal legislatore risulterebbe ponderata e priva di irragionevolezza e, quindi, pienamente rispettosa dell’art. 3 Cost., poiché il furto in abitazione, in termini di gravità, sarebbe piuttosto assimilabile alla rapina aggravata ex art. 628, terzo comma, numero 3-bis), cod. pen., delitto per il quale non a caso vige il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione;

che in particolare alla base di tale scelta legislativa vi sarebbe la considerazione che «la pericolosità soggettiva manifestata dall’autore» del delitto di furto in abitazione «emerga dalla violazione dell’altrui domicilio»;

che, sempre secondo l’interveniente, la disciplina censurata non escluderebbe affatto «una valutazione individualizzata del prevenuto in relazione alla possibilità di concedergli i benefici previsti dall’ordinamento penitenziario», restando questa «demandata al Tribunale di sorveglianza in sede di esame dell’istanza di concessione dei benefici, che il condannato può comunque presentare una volta passata in giudicato la sentenza che lo riguarda», così non compromettendo in alcun modo il perseguimento della finalità rieducativa della pena prevista dall’art. 27, terzo comma, Cost.

Considerato che questa Corte ha ritenuto identiche questioni non fondate con la sentenza n. 216 del 2019, e poi manifestamente infondate con l’ordinanza n. 67 del 2020;

che con le predette decisioni si è anzitutto escluso l’allegato vizio di irragionevolezza della disposizione censurata, la quale «trova […] la propria ratio nella discrezionale, e non irragionevole, presunzione del legislatore relativa alla particolare gravità del fatto di chi, per commettere il furto, entri in un’abitazione altrui, ovvero in altro luogo di privata dimora o nelle sue pertinenze, e della speciale pericolosità soggettiva manifestata dall’autore di un simile reato»;

che la particolare gravità del fatto e la speciale pericolosità soggettiva del suo autore, dimostrate dall’ingresso non autorizzato nei luoghi predetti al fine di commettervi un furto, non vengono meno per il solo fatto che l’autore non abbia usato violenza nei confronti di alcuno;

che nella sentenza n. 216 del 2019, e poi nell’ordinanza n. 67 del 2020, si è altresì negato che la disposizione censurata dia luogo a un irragionevole automatismo legislativo: «il legislatore, infatti, ha, con valutazione immune da censure sul piano costituzionale, ritenuto che – indipendentemente dalla gravità della condotta posta in essere dal condannato, e dall’entità della pena irrogatagli – la pericolosità individuale evidenziata dalla violazione dell’altrui domicilio rappresenti ragione sufficiente per negare in via generale ai condannati per il delitto in esame il beneficio della sospensione dell’ordine di carcerazione, in attesa della valutazione caso per caso, da parte del tribunale di sorveglianza, della possibilità di concedere al singolo condannato i benefici compatibili con il suo titolo di reato e la durata della sua condanna»;

che, infine, in tali decisioni si è ritenuto insussistente il lamentato contrasto con il principio della finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., dal momento che la valutazione individualizzata rispetto alla possibile concessione dei benefici penitenziari resta pur sempre «demandata al tribunale di sorveglianza in sede di esame dell’istanza di concessione dei benefici, che il condannato può comunque presentare una volta passata in giudicato la sentenza che lo riguarda»;

che per tutte queste ragioni le questioni sollevate debbono essere ritenute manifestamente infondate, ferma restando l’opportunità – già segnalata nella sentenza n. 216 del 2019 (punto 4 del Considerato in diritto) e ribadita nell’ordinanza n. 67 del 2020 – che il legislatore intervenga a rimediare alla «incongruenza cui può dar luogo il difetto di coordinamento attualmente esistente tra la disciplina processuale e quella sostanziale relativa ai presupposti per accedere alle misure alternative alla detenzione, in relazione alla situazione dei condannati nei cui confronti non è prevista la sospensione dell’ordine di carcerazione ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., ai quali – tuttavia – la vigente disciplina sostanziale riconosce la possibilità di accedere a talune misure alternative sin dall’inizio dell’esecuzione della pena»: con il connesso rischio che la valutazione del tribunale di sorveglianza sull’istanza di concessione dei benefici intervenga dopo che il condannato abbia interamente o quasi scontato la propria pena.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 11, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Catania, prima sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2024